Piccolo uomo

Piccolo uomo aveva un sogno, anzi, era il sogno a essere padrone della sua vita fatta di sfumature blu, lui desiderava solo indossare un altro colore. Ma non sapeva che avrebbe fatto differenza. Piccolo uomo indossava sandali d’argento e gonne rosa, si metteva il rossetto color corallo della mamma, e anche una goccia del suo profumo preferito, ma questo lo faceva solo in casa, al chiuso tra le mura amiche che lo proteggevano, lo stringevano con amore.

A Natale chiese come regalo una bellissima bambola vestita di pizzi ma gli arrivò un trenino.

A scuola era sempre gentile con tutti, a volte un po’ timido e impacciato ma sempre sorridente.

I suoi compagni lo chiamavano Tonino il delicato, per via del suo pallore e della magrezza eccessiva. Erano ancora piccoli per la malizia, che più tardi li avrebbe fatti comportare come dei bulli. Perché il problema della comunità è la malizia, quando va a braccetto con l’ignoranza, allora, sono guai.

Piccolo uomo parlava poco, ascoltava tanto, e i suoi occhi erano

sempre pronti a stupirsi di meraviglia. Soprattutto quando guardava di sottecchi la sua bellissima mamma.

Il padre gli incuteva timore, non si sentiva a suo agio. Forse, il capofamiglia aveva avuto il sentore della morbidezza del cuore di piccolo uomo. Forse, il padre era stato un bambino dal colore sbagliato. Chissà!

Intanto piccolo uomo cresceva e il suo sogno con lui, al punto che divennero una cosa sola.

Quegli anni furono molto difficili. Ma piccolo uomo era molto intelligente e, invece di lamentarsi dei ragazzi più grandi che lo molestavano, si iscrisse a un corso di judo. Imparò a difendere il suo corpo, ma non la sua mente che rimase sempre molto fragile.

Piccolo uomo piangeva spesso, bastava un nonnulla e scoppiava in lacrime: il vecchietto che portava a spasso il cane, una bambina che divideva la sua merenda con la sua amichetta, la maestra che veniva presa in giro da alcuni alunni, il bidello  diversamente abile che era il bersaglio degli scherzi atroci di un gruppetto di ragazzi. Divenne talmente sensibile che non riusciva a sentire le notizie di cronaca al telegiornale.

Perché là fuori, c’era un mondo di dolore.

Tuttavia, lui continuava a colorare di rosa le sue giornate. Quando era solo in casa si vestiva con gli abiti della mamma e si truccava. Ma era solo. Non aveva amici con cui condividere quel sogno. Anzi, ben presto comprese che non poteva parlarne con tutti ma che avrebbe dovuto scegliere con attenzione le persone con cui confidarsi. Chissà se la mamma… Ma aveva troppa paura di un suo rifiuto e così non le disse mai nulla di ciò che avveniva nel suo cuore e nella sua anima.

E così continuò a vivere. Giorni tutti uguali. Giorni grigi in cui nascondersi. Giorni di finzioni, di pesi come macigni da portare. Ancora, però, non sapeva cosa il mondo gli avrebbe negato e quanto dolore gli avrebbe regalato.

Quel piccolo essere umano non conosceva il prezzo richiesto per continuare a sognare, camminava in bilico, funambolo sopra fili tesi tra la realtà e il sé: sotto, il baratro pronto a inghiottirlo.

Sarebbe bastata una sola persona, un solo gesto.

Sarebbe bastata una sola parola di comprensione per non farlo cadere, per fargli incontrare se stesso.

Piccolo uomo scese dai tacchi e rimise i pantaloni.

Chi stava sbirciando dietro la porta socchiusa non trovò gesti, parole, abbastanza amore, per trovare il coraggio di perdonarsi l’ipocrisia e tendere la mano per aiutare il piccolo uomo a vestirsi del sogno.

Lui, superando ostacoli enormi divenne una splendida persona.

 

Racconto di Angy C. Argent